[Dallo scaffale della Biblioteca Civica.]
Uno dei libri la cui lettura ci recentemente più colpito è stato “A volto coperto” di Riccardo Gazzaniga, edito dall’editrice Einaudi ancora nel marzo 2013.
Il racconto di oltre 500 pagine è ambientato nel mondo del calcio, e precisamente della tifoseria del Genoa calcio, dove, va detto subito, il gioco o lo sport, sempre che lo si possa così chiamare, non c’entrano proprio per nulla.
C’è infatti solo un profondo viscerale contrasto tra i fans e la polizia che deve assicurare il mantenimento dell’ordine.
Il tentativo di introdurre sugli spalti uno striscione, ciò che è assolutamente proibito, da parte di un neo-formato gruppo di tifosi genoani (Facce coperte) provoca uno scontro tra tifosi e poliziotti, con il ferimento di un ragazzo che in ospedale si aggrava e rischia la vita, mentre un poliziotto perde un occhio.
Questo fatto, secondo un assurdo codice tutto interno al mondo degli hooligan, va vendicato e il racconto si snoda sui preparativi, coinvolgendo altre tifoserie e alternando il punto di vista dei tifosi e quello dei poliziotti.
Entriamo così anche noi, insieme con alcuni ragazzi neofiti della tifoseria locale delle ‘Facce coperte’, in un mondo particolare in cui le dinamiche sono assolutamente diverse da quelle della vita ‘normale’.
Da una parte i poliziotti per i quali vale il principio dell’uno per tutti, formando così un blocco compatto di omertà per nascondere la responsabilità di azioni o reazioni individuali di cui si può essere chiamati a rispondere sul piano penale.
Dall’altra la violenza organizzata e convinta dei tifosi che programmano azioni per colpire volutamente i poliziotti in servizio di ordine pubblico, mossi da un odio insensato ed assurdo; siamo alla violenza pura, voluta e mirata che, si badi bene, non ha niente a che fare con quello che si svolge in campo.
Un odio da far esplodere indipendentemente dall’esito della partita di calcio che si gioca nello stadio, con il comprensibile sostegno alla propria squadra e il dissenso per le decisioni arbitrali. Il calcio, anche così come oggi è ridotto, proprio non c’entra; c’è solo da organizzare la violenza contro i poliziotti in servizio, oggetto di un odio comunque.
È una sensazione che va oltre le tante spiegazioni psicologiche del tifo calcistico come valvola per l’aggressività sociale; così come poco convincenti ci sono sembrate le motivazioni politiche, che vanno dai gruppi della destra eversiva ai fatti del G8 di Genova del luglio 2001.