Ezra Pound in gabbia

TEATRO

Il “liberamente tratto” ha colpito ancora!; con questa remora in mente siamo recentemente andati al Teatro Comunale di Thiene per assistere allo spettacolo “Ezra Pound in Gabbia” con sottotitolo: “o il caso Ezra Pound”; conoscendo non solo l’opera ma anche, di persona, il poeta americano, eravamo curiosi di vedere come l’autore e regista Leonardo Petrillo era ‘liberamente’ riuscito a ridurre alla dimensione di uno spettacolo teatrale la montagna, diremmo un Everest, di cultura di cui Ezra Pound era depositario, al punto da essere definito da T. S. Eliot, in ‘La Terra desolata’, “il miglior fabbro”.
Abbiamo dovuto ricrederci; è stato grande spettacolo! Se dovessimo dare un voto, diremmo che lo metteremmo senza alcun dubbio tra i dieci migliori spettacoli cui abbiamo assistito nelle 42 Stagioni Teatrali Thienesi, in assoluto.
Partendo dalla efficacissima gabbia in cui è stato rinchiuso per mesi nel ‘45, Ezra Pound-Mariano Regillo ha raccontato la sua vita in cui, dopo il ventennio fascista, è stato per 13 anni relegato in un manicomio negli Usa, con l’accusa, ma senza regolare processo, di ‘attività anti-americane’.
Geniale, secondo noi, l’impostazione generale dello spettacolo, con cui Ezra Pound in sostanza chiede al pubblico quel giudizio su di lui che non ha avuto dal sistema giudiziario del suo tempo.
Sul racconto delle sue vicende, a sottolineare efficacemente certi passaggi delle sue opere, c’è stata l’efficace lettura (meglio dire interpretazione) di Anna Teresa Rossini; di impressionante efficacia, per esempio, quella specie di dialogo tra autore e i suoi versi, quando i due hanno recitato il passaggio dei Cantos in cui si parla dell’Usura; per quanto li avessimo da tempo letti, e persino studiati, sono versi che così interpretati ci hanno profondamento colpito e coinvolto, per non dire commosso. Momenti di teatro di una intensità tale da essere rari e preziosi.
Per tentare di esprimere il senso profondo di questo spettacolo, ricorriamo ad una metafora, che poi è il modo di poetare di Ezra Pound. Pensiamo ad una montagna, nelle cui parti basse (in tutti i sensi) c’è una nebbia che limita e confonde la nostra visione del mondo, al di sopra della quale l’atmosfera è invece chiara e tersa.
Nello strato nebbioso c’è il Pound simpatizzante fascista, l’ammiratore di Mussolini, l’uomo in gabbia a Pisa e quello incarcerato per 13 anni in un manicomio negli Usa, per un atto di finta pietà ma anche di ipocrita debolezza, per non affrontare un piuttosto imbarazzante processo in cui il pazzo avrebbe potuto difendersi.
Al di sopra della nebbia, c’è invece il mondo della poesia di Ezra Pound, in cui sintetizza la sua immensa cultura in una spietata critica nei confronti dell’Usura, cioè del potere e dell’uso spregiudicato che in una società capitalistica si fa del denaro.
Come dire che quella epidermicamente dipinta come simpatia per il fascismo, è in realtà una lucida critica, profonda e totale, al sistema capitalista, quello stesso denunciato da Karl Marx, o se si vuole l’Establishment contro cui si è scagliata la contestazione giovanile del ’68, di cui viene citato il nome di Bob Dylan.
Ezra Pound, come poeta, denuncia una società basata sul valore denaro e dell’Usura, e non sui valori profondamente umani di cui, negandoli di fatto, ipocritamente si ammanta.
Se poi proprio dobbiamo trovare un difetto, ci sia permesso di osservare che il Pound che, uscito da manicomio, ha scelto di vivere nella città ‘meno città’ del mondo, Venezia, non era certo quel personaggio elegante e statutario visto nello spettacolo, ma un vecchietto che con un impermeabile bianco anche d’estate (alla tenente Colombo), in cui dentro si perdeva, vedevamo trascinarsi per le calli di Venezia, piegato come Atlante sotto il peso di quel mondo dIl “liberamente tratto” ha colpito ancora!; con questa remora in mente siamo recentemente andati al Teatro Comunale di Thiene per assistere allo spettacolo “Ezra Pound in Gabbia” con sottotitolo: “o il caso Ezra Pound”; conoscendo non solo l’opera ma anche, di persona, il poeta americano, eravamo curiosi di vedere come l’autore e regista Leonardo Petrillo era ‘liberamente’ riuscito a ridurre alla dimensione di uno spettacolo teatrale la montagna, diremmo un Everest, di cultura di cui Ezra Pound era depositario, al punto da essere definito da T. S. Eliot, in ‘La Terra desolata’, “il miglior fabbro”.
Abbiamo dovuto ricrederci; è stato grande spettacolo! Se dovessimo dare un voto, diremmo che lo metteremmo senza alcun dubbio tra i dieci migliori spettacoli cui abbiamo assistito nelle 42 Stagioni Teatrali Thienesi, in assoluto.
Partendo dalla efficacissima gabbia in cui è stato rinchiuso per mesi nel ‘45, Ezra Pound-Mariano Regillo ha raccontato la sua vita in cui, dopo il ventennio fascista, è stato per 13 anni relegato in un manicomio negli Usa, con l’accusa, ma senza regolare processo, di ‘attività anti-americane’.
Geniale, secondo noi, l’impostazione generale dello spettacolo, con cui Ezra Pound in sostanza chiede al pubblico quel giudizio su di lui che non ha avuto dal sistema giudiziario del suo tempo.
Sul racconto delle sue vicende, a sottolineare efficacemente certi passaggi delle sue opere, c’è stata l’efficace lettura (meglio dire interpretazione) di Anna Teresa Rossini; di impressionante efficacia, per esempio, quella specie di dialogo tra autore e i suoi versi, quando i due hanno recitato il passaggio dei Cantos in cui si parla dell’Usura; per quanto li avessimo da tempo letti, e persino studiati, sono versi che così interpretati ci hanno profondamento colpito e coinvolto, per non dire commosso. Momenti di teatro di una intensità tale da essere rari e preziosi.
Per tentare di esprimere il senso profondo di questo spettacolo, ricorriamo ad una metafora, che poi è il modo di poetare di Ezra Pound. Pensiamo ad una montagna, nelle cui parti basse (in tutti i sensi) c’è una nebbia che limita e confonde la nostra visione del mondo, al di sopra della quale l’atmosfera è invece chiara e tersa.
Nello strato nebbioso c’è il Pound simpatizzante fascista, l’ammiratore di Mussolini, l’uomo in gabbia a Pisa e quello incarcerato per 13 anni in un manicomio negli Usa, per un atto di finta pietà ma anche di ipocrita debolezza, per non affrontare un processo in cui il pazzo avrebbe potuto difendersi.
Al di sopra della nebbia, c’è invece il mondo della poesia di Ezra Pound, in cui sintetizza la sua immensa cultura in una spietata critica nei confronti dell’Usura, cioè del potere e dell’uso spregiudicato che in una società capitalistica si fa del denaro.
Come dire che quella epidermicamente dipinta come simpatia per il fascismo, è in realtà una critica profonda e totale al sistema capitalista, quello stesso denunciato da Karl Marx, o se si vuole l’Establishment contro cui si è scagliata la contestazione giovanile del ’68, di cui viene citato il nome di Bob Dylan.
Ezra Pound, come poeta, denuncia una società basata sul valore denaro e dell’Usura, e non sui valori profondamente umani di cui, negandoli di fatto, ipocritamente si ammanta.
Se poi proprio dobbiamo trovare un difetto, ci sia permesso di osservare che il Pound che, uscito da manicomio, ha scelto di vivere nella città ‘meno città’ del mondo, Venezia, non era certo quel personaggio elegante e statutario visto nello spettacolo, ma un vecchietto che con un impermeabile bianco anche d’estate (alla tenente Colombo), dentro cui si perdeva, vedevamo trascinarsi per le calli di Venezia, piegato come Atlante sotto il peso di quel mondo di immensa cultura di cui era depositario.
Resta altresì in noi un profondo senso di gratitudine per il fatto che la recitazione del duo Rigillo-Rossini ci ha permesso di seguire e gustare il testo parola per parola, ad ulteriore dimostrazione che i veri grandi attori sono quelli che riescono a farsi capire da chi li ascolta.

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