Uno dei più strani libri che ultimamente ci è capitato di leggere, capitatoci tra le mani stavolta del tutto casualmente e senza cercarlo; si tratta di “Flatlandia” di Edwin A. Abbot (1838-1926), edito, o meglio ri-edito, dalla Universale Economica di Feltrinelli nell’aprile 2020, nella traduzione di Giancarlo Menotti.
Si tratta di un’opera che, come altre, giocano sulla metafora, trasportandoti in un mondo diverso dal nostro mondo reale, con l’intento di farci capire meglio quello cui noi oggi viviamo.
Opere-metafora che, per non dilungarci troppo, possono considerarsi la Commedia di Dante, “Robinson Crusoe” “Moby Dick” di Melville, di Daniel Defoe, fino ai racconti fanta-scientifici di Asimov, tanto per citare alcuni autori di un elenco tropo lungo da riportare in questa sede.
“Flatlandia” è un mondo geometrico, più esattamente della geometria piana, che sta tra il Puntolandia (mondo dei punti) e Spaziolandia (mondo delle tre dimensioni).
Nel mondo di Flatlandia c’è una perfetta organizzazione di valori basata su una rigida gerarchia sociale; nel piano più basso ci sono le linee rette, cioè le donne, che non hanno figura ma che servono a comporre le altre figure geometriche; a cominciare dai triangoli che sono tanto più pericolosi quanto più acuto è uno dei loro angoli. I triangoli isosceli dalla base molto stretta sono i temibili e spietati soldati di Flatlandia.
Di generazione in generazione i figli dei genitori di Flatlandia si arricchiscono di un angolo; quindi i figli dei triangoli diventano rettangoli o perfetti quadrati, i loro figli diventano pentagoni, poi esagoni e così via finché si arriva a figure dai moltissimi angoli, somiglianti ai cerchi, che rappresentano la perfezione; un cerchio è il sovrano assoluto di Flatlandia.
Dopo aver spiegato, con significativi particolari, questo mondo di geometria piana, il protagonista, un quadrato, prima si assume il compito di spiegare agli allibiti abitanti del mondo uni-dimensionale di Puntolandia, che esiste una seconda dimensione, quella di Flatlandia; ma sua volta il nostro quadrato viene a contatto con una sfera che cerca di fargli intuire l’esistenza di un impensabile mondo dalle tre dimensioni chiamato Spaziolandia.
Basandosi sul principio “non a nord, ma verso l’alto” il nostro quadrato tenta di divulgare a Flatlandia la teoria delle tre dimensioni, ma prima viene deriso dal nipote, un perfetto esagono regolare, poi finisce incarcerato per diffondere teorie socialmente pericolose.
Naturalmente questo gioco di metafore geometriche, ha per l’autore un suo significato. Edwin Abbot era un uomo profondamente religioso, ma soprattutto credeva che è nella misura in cui cerchiamo di superare i limiti delle nostre conoscenze che possiamo progredire e diventare migliori.