Hamlet non è Amleto

TEATRO

[foto di Giuseppe Santamaria]
Hamlet non è Amleto; da questo punto di vista il, per noi sempre più odioso, “liberamente tratto…”, si configura come una specie di inaccettabile plagio culturale.
Stiamo evidentemente parlando dello spettacolo “Hamlet” con Giorgio Pasotti e Mariangela D’Abbraccio, per la regia di Francesco Tavassi, con cui si è recentemente aperta la 42^ Stagione Teatrale Thienese.
Intendiamoci, senza quel ‘liberamente tratto’, magari con un altro titolo, sarebbe stato uno spettacolo almeno plausibile, anche se non esaltante; è l’accostamento all’Amleto di William Shakespeare che lo rende offensivo rispetto all’originale.
La pretesa di modernità con cui ci è stato presentato si riduce all’uso degli smartphone, con Gertrude più mammona che truce regina, che si fa un selfie, e alle abbaglianti luci da discoteca; una Gertrude che, come madre, con tanto di lifting, è esattamente l’opposto del tragico personaggio della regina shakespeariana.
Sarebbe troppo lungo qui spiegare come in questo caso il ‘liberamente tratto’ abbia portato il regista a discostarsi troppo dal personaggio di Amleto; i due amici di Amleto, Orazio e Marcello vengono presentati come due meschine macchiette, tipo il gatto e la volpe. Polonio e Laerte che sconsigliano Ofelia a frequentare il principe Hamlet sono una inopportuna invenzione che non esiste nell’originale.
Hamlet ed Ofelia che bisticciano come due innamorati, sono ben lontani dalla sofferta rinuncia all’amore di Amleto per Ofelia, per seguire il suo ineluttabile destino di vendicatore della morte del padre.
Il famoso monologo di Amleto dell’’essere o non essere’ perno centrale della tragedia esistenziale del principe, viene in Hamlet recitato praticamente fuori scena, senza che l’intensità del sentimento coinvolga anche fisicamente il personaggio, perdendo quasi del tutto la sua carica emotiva.
Ma forse il vero tradimento di questo Hamlet liberamente tratto sta nel fatto che alla fine il protagonista sopravvive al duello e diventa re di Danimarca. Cosa questa abbastanza innaturale per il genere teatrale della tragedia.
La grandezza di William Shakespeare sta nel fatto che i suoi personaggi vengono travolti dai sentimenti che li animano; la gelosia di Otello, l’amore di Romeo e Giulietta, la vendetta di Amleto sono sentimenti umani che crescono così intensamente dentro al personaggio fino al punto di annientarlo. Se questa è la cifra delle tragedie del cigno dell’Avon, un Hamlet che vince il duello con Laerte, non è più solo un liberamente tratto, ma un inaccettabile stravolgimento, un offensivo tradimento della tragedia shakespeariana.
Queste amare considerazione naturalmente oscurano ogni aspetto positivo di quanto abbiamo visto sulla scena, al punto che ci ha infastidito persino la quasi standing ovation di un pubblico che evidentemente ha dimostrato di non conoscere la grandezza dell’Amleto di William Shakespeare.

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