[Foto di Giuseppe Santamaria]
Grande teatro a Thiene la scorsa settimana; nell’ambito della 41^ Rassegna Teatrale, al Comunale è andata in scena per tre serate la commedia “Il berretto a sonagli” di Luigi Pirandello, per la regia di Gabriele Lavia, che ne è anche il protagonista.
Tema psicanalitico della commedia sembra essere il nostro rapporto con gli altri, ciò che spesso ci impone di distinguere il nostro Io dalla rappresentazione che dobbiamo o vogliamo dare di noi stessi agli altri, cioè il ruolo che dobbiamo impersonare in società.
E nella regia di Lavia del dramma pirandelliano gli altri sono rappresentati un gruppo di manichini vestiti da benestanti borghesi che incombono sulla scena con la loro ossessiva fissità, recitando col loro assordante silenzio.
La trama è quella della signora Beatrice Fiorica che scopre di essere stata tradita dal marito con Nina Ciampa, moglie dello scrivano Ciampa (Gabriele Lavia).
Il quale, pur sapendo di essere stato tradito, si preoccupa che la cosa non venga risaputa dagli altri, quasi che solo allora, cioè diventando pubblico, scatti la dimensione dello scandalo.
Secondo Ciampa portiamo tutti sulla fronte tre corde come d’orologio: ”la seria, la civile, la pazza. Sopra tutto, dovendo vivere in società, ci serve la civile, per cui sta qua in mezzo alla fronte…; su la tempia destra, c’è la corda seria, per parlare seriamente, a quattr’occhi; a sinistra la corda pazza…quella che fa perdere la vista degli occhi… ed uno non sa più quello che fa”.
Il dramma nasce dal fatto che, per vendicarsi dell’affronto subito, Beatrice tira la terza corda, quella di chi non sa più quello che fa, mettendo in piazza lo scandalo. Per questo viene isolata dalla famiglia, madre e fratello, finché Ciampa, il marito tradito, in un drammatico finale convince Beatrice a fingersi pazza, in modo che venga attribuito al suo squilibrio mentale un gesto con cui, davanti agli ‘altri’ viene messo in discussione l’onore di due famiglie.
È proprio in questo senso che, con la loro fissità, i manichini, in funzione di società ipocritamente perbenista, incombono sul dramma dove le considerazioni dell’amore tradito passano in secondo piano rispetto allo scandalo sociale.
Abbiamo letto che questo dramma di Pirandello era stato originariamente scritto in dialetto siciliano e solo in seguito rappresentato in italiano; la regia di Lavia fa uso di un italiano sicilianizzato, efficace sul piano espressivo anche se non sempre facilmente comprensibile.
Decisamente buono per tutti il livello della recitazione, con personaggi ben caratterizzate e con una efficace coerenza stilistica dei costumi.
Ci si permetta infine di osservare che Gabriele Lavia, pur col suo non alto tono di voce, sapendo recitare, è stato perfettamente comprensibile anche senza microfono.