Andrea Vitali non è più Andrea Vitali; nel suo romanzo “Il metodo del dott. Fonseca”, edito dall’editrice Einaudi nel mese di agosto 2020, è ben difficile riconoscere lo scrittore che ormai da molti anni abbiamo letto ed apprezzato.
La vicenda narrata nel romanzo è quella di un poliziotto inviato dal suo capo, il Maiale, ad indagare quasi pro-forma sull’omicidio di una ragazza, di cui si dà per scontato sia colpevole il fratello handicappato, che fra l’altro è fuggito.
In una atmosfera desolatamente triste, quasi kafkiana, il nostro prende alloggio in una taverna di Spatz, dove incontra un altro misterioso personaggio, mentre l’oste gli offre cene a base di gustoso coniglio arrosto.
Vicino al paese di Spatz c’è una specie di terra di nessuno, tra due confini di stato, dove il misterioso dott. Fonseca ha aperto una clinica per casi disperati.
Non possiamo andare avanti col racconto della trama, per non togliere al lettore il piacere della suspense; possiamo solo dire che l’assassinio non è il fratello handicappato della vittima, cosa intuibile sin dall’inizio.
Ma cos’ha di diverso questo romanzo rispetto a quanto Andrea Vitali, come scrittore, ci ha da tempo abituati.
Dire che manca l’ambientazione a Bellano, sul lago di Como, è spiegare gran parte del problema, ma forse non tutto.
Il villaggio di Spatz, la misteriosa clinica del dottor Fonseca, per quanto Vitali ci provi, non hanno consistenza, sono invenzioni puramente letterarie, sospese in aria; sembra quasi che fuori Bellano, Vitali sia come un pesce fuor d’acqua, che ansima in cerca di sostanza.
L’indagine porta il poliziotto a finire incatenato al buio in un lettino, in un’atmosfera senza tempo e senza luce, dove una voce gli racconta lo svolgimento di gran parte della vicenda; non c’è l’azione, magari fatta di umanità e introspezione psicologica del bonario maresciallo Ernesto Maccadò, che recentemente ha dovuto interessarsi persino di un misterioso “uomo in mutande” che gira va per Bellano, e a cui siamo ormai abituati.
Non c’è lo stile di Andrea Vitali, quel narrare leggero e sottilmente ironico, a volte nostalgicamente evocativo fatto di frasi semplici ed efficaci, di capitoli brevi; manca quell’amore, a volte nostalgico, verso l’ambiente in cui la vicenda si svolge, le ombrosità del lago sostituite da qualcosa al limite del surreale, quasi che qualcuno possa costruire e gestire una misteriosa clinica privata sulla terra di nessuno, una clinica apolide potremmo dire.
Insomma, un romanzo che ci narra una storia accettabile solo sul piano della fiction, ma in cui non c’è Andrea Vitali, quello che da tempo conosciamo ed amiamo. Ecco perché, dopo aver quasi doverosamente letto anche questo suo romanzo, all’autore ci vien da suggerire: “Andrea, torna a Bellano! Ti aspettiamo!”.