Sembra la sceneggiatura di un film, con le scene che si susseguono una dopo l’altra per raccontare la storia di una donna ebrea; stiamo parlando del romanzo “Il pane perduto” di Edith Bruck, edito dall’editrice ‘La nave di Teseo’ nel gennaio 2021.
La storia della vita della protagonista, una donna ebrea di origine ungherese, parte come spesso in questo tipo di racconti dalla percezione della diversità dell’essere ebrei e di dover quindi subire già da bambini le discriminazioni che il veleno del nazismo aveva praticamente diffuso in tutta.
Con la sua famiglia, di modeste condizioni, Edith viene prima confinata nel ghetto e poi trasferita nel lager.
Forse la parte migliore del racconto è proprio l’esperienza di una giovane ragazza in vari campi di concentramento tra cui Auschwitz, Dachau e Bergen-Belsen, dove ebbe sempre come sostegno morale la sorella Judit.
È strano leggere l’esperienza del lager scritta con una lucidità sorprendente, senza retorica, quasi senza astio verso chi teneva le due sorelle in quella situazione.
Di descrizioni del genere ne abbiamo lette e viste tante, ma forse mai descritte con una lucidità, un distacco, quasi la narratrice non fosse coinvolta in prima persona.
Sopravvissuta al lager e alla guerra le sorelle Judit e Edith si trasferiscono in Israele, la terra promessa, dove ritrovano un fratello, anche lui reduce dal lager.
Per Edith, spirito inquieto, la terra promessa non si rivelerà tale, anzi nelle condizioni precarie in cui Israele era costretto a sopravvivere, inevitabilmente venivano limitati gli spazi di libertà che Edith sognava, mentre anche lei come ragazza avrebbe avuto l’obbligo di indossare la divisa militare, che tanto l’aveva terrorizzata nel lager.
Spirito ribelle ed avventuroso, dopo varie peripezie, tra cui un finto matrimonio per evitare il servizio militare, Edith al seguito di un corpo di ballo arriva in Italia.
Qui, dopo un periodo abbastanza confuso e precario, incontra il registra cinematografico Nelo Risi, con cui vivrà per oltre sessant’anni, immersa nel mondo culturale e artistico della cosiddetta Roma-bene.
È autrice di diversi romanzi, alcuni dei quali tradotti in film da Nelo Risi o da altri registi, mentre lei stessa diventa regista cinematografica.
È proprio questo il taglio di questo suo racconto, che sembra un copione cinematografico, con un succedersi di nuclei o scene che raccontano la storia con l’azione più che con i pensieri o le riflessioni.
Ne risulta un andamento narrativo svelto ma efficace, ed uno stile semplice ma intenso.