Si potrebbe dire che nei suoi romanzi Valerie Perrin usi una tecnica narrativa che ci piace definire del “carciofo”; questo anche in “Il quaderno dell’amore perduto”, edito dalla e/o nel marzo di quest’anno.
La vicenda è riassumibile nella storia raccontata su un quaderno da una infermiera, Justine, che lavora in un ospizio per anziani, le Ortensie, a Milly, nel cuore della Francia, dove è stata cresciuta dai nonni e vive, insieme con un cugino, Jules, perché i loro rispettivi genitori sono morti in un incidente stradale quando loro erano bambini.
Tra tutti gli ospiti della casa, Justine ha un rapporto speciale con Helene, un’anziana che è ormai alla fine di una vita densa di avvenimenti vissuti con grande coraggio; è questa vita che Justine si impegna a scrivere su un quaderno appositamente acquistato per raccogliere le memorie di Helene e del suo grande e travagliato amore per Lucien.
Ecco allora che la vita profondamente da provinciale che la nostra assistente vive a Milly, dove il massimo di eccitazione lo trova al sabato sera con uno che lei stessa chiama ‘Coso’, improvvisamente sembra trovare motivi di interesse andando alla ricerca di un evento famigliare su cui i nonni non hanno mai voluto parlare a fondo.
Come quando si mangia un carciofo, staccando foglia dopo foglia, così inframezzando il normale dell’attualità con il corsivo dei ricordi di Helene, finché si arriva al cuore dell’ortaggio, dove veniamo a scoprire la parte più tenera e sensibile, allo stesso modo Valerie Perrin ci porta alla verità profonda del tragico incidente successo ai suoi genitori e zii; una verità che naturalmente non possiamo anticipare.
Quello che invece raccomandiamo al lettore è di procedere nella vicenda narrata fissando bene di volta in volta i nomi dei personaggi, perché non è sempre agevole seguire la narrazione nei continui passaggi dal presente al passato.