Nella nostra limitata capacità di fare i cosiddetti “conti della serva”, quando nelle elezioni politiche di qualche decennio fa, il partito di Berlusconi, in Sicilia, ha fatto l’en plein dei seggi elettorali, noi avevamo desunto che inevitabilmente anche la mafia siciliana avesse votato Forza Italia.
Anche se con qualche decennio di ritardo, a darci conferma di questa nostra supposizione è stata la lettura dell’opera “Io posso”, di Pif, Pier Francesco Diliberto, e di Marco Lillo, edito dalla Feltrinelli nel 2021.
Si tratta sostanzialmente del racconto di una vicenda giudiziaria che si trascina da decenni, con cui due sorelle, Maria Rosa e Savina Pillu, si sono opposte alla prepotenza di un costruttore palermitano, per difendere le loro case di proprietà, che disturbavano la costruzione di un palazzo di otto piani, nonostante insistesse su un terreno non tutto di proprietà del costruttore.
Questo, che possiamo considerare un casuale inceppamento di una macchina perfettamente oliata, viene riscostruito nei suoi vari momenti, a partire da quando venne data la licenza di fabbricare, senza considerare la proprietà del terreno, a tutte le varie azioni legali con cui le sorelle Pillu hanno tentato di far valere il diritto di proprietà che è costituzionalmente garantito, magari usufruendo persino della disponibilità ad ascoltare il loro caso del giudice Paolo Borsellino, assassinato dalla mafia.
Più che seguire il non facilmente comprensibile iter di questa pratica che è decisamente kafkiana, ci sembra doveroso osservare che accanto al sistema legale delle leggi e dei regolamenti, esisteva (o esiste?) nella Sicilia berlusconiana un potere-altro che riusciva ad imporsi, debitamente assecondato anche a livello nazionale, contro ogni criterio di legalità, ma con una parvenza di rispetto delle leggi che spesso diventa una beffa offensiva. Come nel caso in cui le sorelle Pillu sono state chiamate a pagare le tasse su una somma dovuta dallo Stato ma non ancora percepita.
I due autori, alternandosi di capitolo in capitolo, riescono a ricostruire la sostanziale impunità di chi, in barba alle leggi e ad ogni evidenza, si muove in base alla logica del “io posso” comunque, perché è mio (e nostro) interesse fare anche quello che è fondamentalmente contrario alla legge, potendo contare sugli Azzeccagarbugli che riescono ad incasinare le cose, col risultato che “summun ius summa iniuria”.
Non sappiamo se in Sicilia o altrove i casi delle sorelle Pillu siano isolati o più comuni di quanto si pensi; certo è che la supponenza del “io posso”, non fa parte del sistema democratico ed è contrario ad ogni criterio di giustizia costituzionale.