La profetica fattoria di Orwell

ATTUALITÀ

Avevamo sempre creduto che il romanzo di George Orwell, “La fattoria degli animali”, si riferisse alla degenerazione democratica avvenuta nell’Urss sovietica con l’avvento del comunismo di Stalin; purtroppo, dai molti sintomi che avvertiamo, sembra che Orwell sia stato profetico e descriva in modo esemplare quanto quotidianamente ci propina di democrazia illiberale il governo Meloni.
Non è tanto un problema di trovare dei parallelismi più o meno metaforici (il mulino della fattoria e il ponte sullo stretto), quanto più il progressivo processo di deterioramento democratico in atto.
Ricordiamo che gli animali della fattoria di mr. Jones avevano scritto a caratteri cubitali i principi e gli ideali della loro rivoluzione sul muro del granaio, da dove, per le successive riforme costituzionali (tutte dettate da un apparente razionale buon senso dei governanti), uno dopo l’altro erano spariti o erano stati modificati, finendo per svuotare o tradire il sistema democratico su cui si basavano.
Esattamente come l’idea stessa del premierato che, comunque lo si guardi, dimostra l’intenzione di rompere l’equilibrio tra i tre poteri dello Stato, legislativo, esecutivo e giudiziario, cioè scardinare la struttura democratica prevista dalla Costituzione Italiana, a favore del potere esecutivo.
Nel contempo si stanno elaborando provvedimenti per sottoporre il potere giudiziario, che per sua natura deve essere autonomo e indipendente, al controllo governativo, cioè dell’esecutivo, in modo da poterlo condizionare.
Parcellizzato in provvedimenti singoli, dall’apparenza persino plausibile, riesce difficile per il cittadino ricomporre le varie misure man mano adottate in un quadro d’insieme, dove il proposito di scardinare il sistema democratico costituzionalmente previsto, risulta ben evidente.
Tutto questo naturalmente è frutto di una mentalità che considera una inopportuna iattura il fatto che tutti i cittadini siano da considerarsi uguali nei loro diritti e nei loro doveri. Serve piuttosto una massa amorfa da manipolare con gli stessi criteri della pubblicità, così come bisogna distinguere chi tra loro deve, volente o nolente, pagare le tasse, e chi le tasse non le paga, perché, per racimolare voti, viene continuamente condonato dal governo; squallidi personaggi ci vogliono far credere che si tratti di un problema di ‘pace sociale’ e non di una totale ingiustizia, una beffa per il cittadino onesto, per i Gondrand che muoiono di lavoro.
E veniamo alla par condicio del governo Meloni, recentemente modificata in vista della campagna elettorale per le prossime elezioni europee. La trovata furbesca, nel suo genere una genialata, è stata quella di scorporare il tempo non contingentato dato al governo, per le comunicazioni istituzionali, da quello per la propaganda politica, da spartirsi tra le varie liste. Come se sia davvero possibile, quando parlano la Meloni, Salvini e Tajani distinguere una asettica funzione istituzionale dall’inevitabile, intrinseco risvolto politico e propagandistico. Con questa “par condicio” la prossima campagna elettorale sarà più o meno come una gara in cui un concorrente parte dall’arrivo, e non dai blocchi di partenza come tutti gli altri. Farà fatica a non vincere!
Ma forse quello che più ci ha ricordato il romanzo di Orwell è la comunicazione sociale gestita attraverso un coro di pecore che ossessivamente beee-lano slogan su quello che Napoleon vuole farci credere sia il paradiso in cui viviamo.
Andando avanti di questo passo è facile prevedere che, come gli animali della fattoria di Orwell, una mattina al posto degli articoli della Costituzione Repubblicana, nata dalla Resistenza antifascista, ci troveremo a leggere un unico articolo secondo cui di fronte alla legge “tutti i cittadini sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri!”

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