Anna Politkovskaja era, purtroppo, balzata agli onori della cronaca internazionale quando nel 2006 era stata assassinata mentre una mattina usciva di casa per andare al giornale dove lavorava; nata a New York nel 1958, come giornalista collaborava con il giornale moscovita “Novaja Gazeta” e come inviata speciale era entrata in conflitto con il regime di Putin per i suoi interventi critici sulla guerra cecena.
Tanto che nel 2002 aveva accettato di negoziare per la liberazione degli ostaggi prigionieri dei terroristi ceceni nel Teatro Dubrovka di Mosca, mentre si stava preparando l’intervento di forza che ha portato al massacro.
È questa esperienza, forse la più importante, di quelle raccolte nella pubblicazione “La Russia di Putin” edita dalla Adelphi nel 2004 e che ci siamo peritati di leggere tentando di meglio capire i motivi che hanno recentemente spinto Putin ad invadere l’Ucraina, con tutto quel che ne sta seguendo.
Recentemente abbiamo letto su Repubblica un interessante articolo di Edgar Morin, in cui fra l’altro si dimostrava la sostanziale continuità storica tra lo zarismo russo, il comunismo sovietico e la Russia di Vladimir Putin, argomento del libro della Politkovskaja, che formalmente si presenta con una veste democratica, dove però la democrazia si inceppa quando tocca gli interessi che anche in Russia sono esplosi dopo la caduta del regime sovietico.
Il libro di Anna Politkovskaja in una serie di capitoli, non sempre facili da seguire per un non-russo, riporta altrettanti casi di esempi di ‘mala-democrazia” cioè di come la burocrazia, applicata a senso unico a tutti i livelli della amministrazione statale, diventi una forma di oscura dittatura, dove i diritti del cittadino sono lesi a vantaggio dei diritti di chi sta al potere e considera nemici della Russia chi, magari a buon diritto, tenta di contestarli.
Va da sé che un regime falsamente democratico si può sostenere solo con uno stretto controllo di mezzi di comunicazione sociale, con l’eliminazione, anche violenta, del dissenso e della critica pubblicamente espressi, in base ad una ipocrita ‘verità di Stato’.
C’è quindi sostanzialmente una continuità storica con il dissenso che era emerso anche ai tempi dell’Unione Sovietica, con i gulag staliniani, con il famoso caso di Boris Pasternak; solo che ora, in tempi di internet e di un mondo globalizzato, l’eliminazione violenta del dissenso non può più essere nascosta e, per quanto non ammesso, resta una macchia nella storia della Russia.
Anna Politkovskaja, con questa, come con altre sue opere aveva scoperchiato la verità sul regime di Putin ed ha pagato con la vita il suo coraggio.