Ci siamo chiesti cosa abbia spinto Ilda Boccassini, una volta andata in pensione dopo una lunga carriera di magistrato, a scrivere le sue memorie; non certo vanità personale o velleità letterarie, non ci sembra certo il tipo.
Capire le motivazioni che hanno portato alla stesura di “La stanza numero 30, cronache di una vita” di Ilda Boccassini, pubblicato nel 2021 dalla Feltrinelli di Milano, ci sembra importante, anche perché la lettura ci ha messo a confronto con un periodo della recente storia d’Italia in cui il berlusconismo ha seriamente minacciato la struttura e la tenuta democratica del nostro paese.
Nel suo raccontare, con chiarezza e sempre attenta alla aderenza ai fatti, Ilda Boccassini ripercorre la sua carriera di magistrato a Milano, a cominciare da quando, fresca di nomina, fu accolta in procura a Milano dalla considerazione che il suo essere donna mal si conciliava con il lavoro di magistrato.
Fondamentale per lei è stata l’amicizia e la stima di Giovanni Falcone, la cui morte nell’attentato di Capaci, spinse Ilda Boccassini ad un duro impegno per trovare e punire i colpevoli.
Dopo essersi per anni interessata alle indagini sulla mafia, mettendo in luce le sue diramazioni e le connivenze nel nord dell’Italia, e soprattutto in Lombardia, Ilda Boccassini è entrata nel turbine dei processi a Cesare Previti e Silvio Berlusconi, a partire dal Lodo Mondadori fino al caso Ruby.
Si è trattato anche per noi di rivivere attraverso le sue pagine l’incubo degli anni del berlusconismo, stavolta visti dal di dentro, mentre allora, come tutti, abbiamo dovuto seguirli dall’esterno, attraverso le cronache giornalistiche e televisive.
È terribile pensare che, come chiaramente denuncia Ilda la Rossa, tutto un possente apparato mediatico prezzolato ha ribaltato i termini stessi del problema giustizia, facendo in modo di criminalizzare sulla piazza mediatica chi si batteva per fare rispettare la legge; per decenni il berlusconismo era diventato una mentalità secondo cui, con tutti i mezzi, dalle scandalose leggi ad personam, ai tentativi di evitare le convocazioni in tribunale, protraendo i processi fino alla prescrizione, Silvio Berlusconi era da considerarsi extra lege, non processabile e soprattutto impunibile.
A questa mentalità, mediaticamente amplificata all’infinito, si opposero persone come il procuratore Borrelli con suo invito a “Resistere, resistere, resistere” che diedero la forza a Ilda la Rossa, nel perenne ricordo di Giovanni Falco-ne, sd andare comunque avanti, riuscendo a portare i processi alla loro naturale conclusione.
Oggi fa senso pensare che per decenni i mass media berlusconiani hanno criminalizzato i magistrati che si oppone-vano alla loro illegalità, con il culmine rappresentato da Berlusconi premier che impunemente fa liberare la mino-renne Ruby, arrestata per furto, presentandola squallidamente come la “nipote di Mubarak”.
Il tutto con un coro vociante che, dentro e fuori dal Parla-mento, presentava Silvio come vittima delle ‘toghe rosse’, le quali, per loro natura, stavano semplicemente e coraggiosamente facendo il loro dovere.
Come valore aggiunto a quanto scritto da Ilda Boccassini, oggi possiamo valutare appieno lo scampato pericolo che la dignità stessa dell’Italia ha corso quando recentemente, con l’appoggio del centro-destra, Berlusconi ha tentato persino di farsi eleggere Presidente della Repubblica; ci mancava solo il bunga-bunga al Quirinale!