L’enigma della camera 622

SCAFFALE

È stato un top dell’estate, ma crediamo che molti lettori abbiano finito di leggerlo quando si era già in autunno; stiamo parlando di “L’enigma della camera 622” di Joel Dicker, edito dall’editrice “La Nave di Teseo” nel luglio 2020.
Si tratta infatti di un giallo di oltre 600 pagine, in cui il fattore tempo è così intrecciato che si passa con disinvoltura, a seconda dei fatti narrati, avanti e indietro nei decenni.
Cercando di dare ordine espositivo alla trama, partiamo dal fatto che ci sono due personaggi, uno scrittore in crisi sentimentale e una giornalista inglese, Scarlet, che casualmente notano come in un lussuoso albergo sulle Alpi svizzere, il Palace de Verbier, non c’è la camera n. 622; dopo la 621, c’è la 621 bis, per proseguire poi con la stanza 623.
Non senza reticenze da parte del personale dell’albergo, i due vengono a sapere che nella camera 622 era avvenuto un omicidio, motivo per cui la direzione aveva deciso di non far apparire quel numero di camera.
I due, soprattutto Scarlet, decidono quindi di chiarire il mistero, che la polizia non ha ancora saputo dipanare, e si avventurano in una ricerca che li porta nella opulenta Ginevra, dove agisce la banca storica degli Ebezner, la cui presidenza per tradizione passa di padre in figlio. Solo che l’ultimo presidente, Abel Ebezner, ha deciso di non passare l’importante ruolo al figlio Macaire, per punirlo del fatto di aver venduto le sue azioni ad un avventuriero di origine russa, che in qualche modo diventa padrone della situazione.
La banca Ebezner, per i suoi riti interni, per tradizione affitta il grande albergo di Verbier, dove in un week-end collettivo si annunciano le grandi decisioni, come la nomina del nuovo presidente, successore di Abel Ebezner.
In questo albergo lavorava come fattorino Lev, un giovane ambizioso, che diventerà banchiere della banca Ebezner.
Di Lev è innamorata Anastasia, figlia di una madre russa con pretese di nobiltà, ma che soprattutto vuole sistemare le figlie con un marito ricco.
Lev a sua volta è figlio di un attore comico, che non avendo successo sulla scena si è ridotto a recitare nella vita, trasmettendo i trucchi del mestiere al figlio.
A questo punto dobbiamo fermarci, sia perché il racconto che si protrae per 630 pagine è impossibile qui da riassumere in poche righe, sia perché, trattandosi di un giallo, c’è il rischio di rovinare la suspense ai lettori; ci basterebbe infatti una frase per svelare un mistero che l’autore ci centellina per pagine e pagine.
Il libro, per quanto lungo, si legge tranquillamente, l’attenzione è sempre tenuta viva da continue sorprese, che ribaltano ciò che intuitivamente si dava per scontato.
Alla fine di questa maratona di lettura emergono almeno due messaggi; il primo è “mai credere che la realtà sia vera” e il secondo è che, nonostante tutto e tutti “amor vincit omia”.

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