Mine vaganti

TEATRO

[foto di Giuseppe Santamaria]
Anche per lo spettacolo “Mine vaganti” recentemente andato in scena al Teatro Comunale di Thiene, nell’ambito della 41^ Stagione Teatrale, bisogna forse distinguere tra la resa spettacolare e l’argomento trattato.
In questo caso è inoltre d’obbligo il confronto con il film da cui il lavoro teatrale è stato tratto, tenendo debitamente conto della diversità dei due media; entrambi comunque si avvalgono della regia di Ferzan Ozpetek che affronta il problema del cosiddetto “outing”, cioè di un figlio omosessuale che si dichiara essere tale alla famiglia, andando contro una mentalità, con tutte le implicazionii sociali in cui una rivelazione del genere ancora risulta avere un effetto dirompente.
Sul piano spettacolare la versione teatrale è accettabile, sempre che uno riesca ad abbandonarsi alla narrazione, senza considerare i significati sociali di quanto avviene in scena. Certamente buona la recitazione, in cui tutti ci sono sembrati aderenti al personaggio interpretato; notevole il gioco delle scene, così come l’uso della platea come estensione del palcoscenico, coinvolgendo gli spettatori.
La vicenda narrata è quella di Antonio Cantone che anticipa il fratello Tommaso nel fare outing nella famiglia siciliana di Vincenzo; da qui le reazioni dei membri della famiglia che si considera coinvolta in uno scandalo difficilmente accettabile dalla società e dall’ambiente. Il padre Vincenzo ha un infarto, la madre deve affrontare le maldicenze delle signore bene della città, mentre Tommaso che era tornato a casa per fare a sua volta la sua sconvolgente rivelazione si trova a dover sostituire padre e fratello nella gestione dell’azienda di famiglia, insieme con la socia Alba Brunetti.
Il tutto si svolge con l’inquietante presenza della nonna, in questo caso interpretata da Simona Marchini, l’unica a capire il dramma di Tommaso e che, ammalata di diabete, finirà per suicidarsi ingozzandosi di dolci.
Noi siamo ben consci dei limiti che il teatro presenta rispetto al racconto cinematografico, è quindi accettiamo i cambiamenti operati dal regista come dovuti al medium espressivo.
Detto questo, resta da notare una sostanziale differenza nel trattare il tema dell’outing. Nel film, anche avvalendosi della interpretazione di Scamarcio che a volte parla più con la faccia che con le parole, ci si mantiene su un livello di sostanziale serietà del tema trattato, in cui il ridicolo nasce dalle reazioni psicologiche della famiglia che si trova a fare i conti con una situazione di diversità difficile da accettare.
Nella versione teatrale l’equilibrio tra la narrazione ed il contenuto scade fino a sprofondare nel ridanciano televisivo di scene da gay pride; pensiamo non solo alla esibizione di drag-queen, con i gay divenuti ballerine d’avanspettacolo, o l’amico/a effeminato che sfodera un enorme ventaglio.
Ecco quindi che, al di là della resa teatrale, l’outing che il film ha affrontato su un piano di serietà dal punto di vista sociale, in teatro scade ad un livello in cui, per strappare una facile e scontata risata, si offendono, ridicolizzandoli, proprio i gay nel momento in cui tentano di farsi accettare come tali dalla propria famiglia.

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