Noi partigiani

SCAFFALE

“Noi partigiani” è una raccolta di una cinquantina di memorie raccolte tra i combattenti della Resistenza anti- fascista ancora viventi; raccolta a cura di Gad Lerner e Laura Gnocchi, con una prefazione di Carla Nespolo, pubblicato dall’editrice Feltrinelli nel 2020.
Probabilmente secondo uno schema concordato, i testimoni partigiani sono stati invitati dagli autori a raccontare la loro vicenda, esplicitando per quanto possibile il come e il perché sono entrati a diverso titolo nella lotta resistenziale.
Non essendo possibile entrare nel merito dei singoli protagonisti, possiamo qui tentare di trovare delle linee comuni su cui si è sviluppata la loro esperienza.
Intanto si tratta per la maggior parte di persone, uomini e donne, in gran parte nati nei primi anni ’20, delle più diverse estrazioni sociali, lavoratori e studenti, persone spesso di famiglia acculturata.
Ecco, una prima condizione comune, anche se non per tutti, è che il loro anti-fascismo deriva dall’educazione, spesso dall’esempio, ricevuti in famiglia, dai padri come dalle madri, che il fascismo l’hanno dovuto subire; per alcuni la loro scelta, o comunque l’opposizione, era stata determinata dalle leggi razziali, con compagni di scuola o docenti che hanno dovuto abbandonare perché ebrei; altri, non pochi sono stati testimoni di una violenza nazi-fascista che li ha fatti decidere di entrare nella Resistenza, mentre non manca chi è stato spinto alla ribellione dai docenti della scuola che frequentavano.
Nella Resistenza, pur nell’estrema varietà dei luoghi in cui hanno operato e delle mansioni che hanno svolto, dal combattente alla staffetta, tutti ricordano il costante pericolo e la paura, forse più delle difficoltà e delle privazioni che la lotta comportava. Molti avevano dietro le spalle una famiglia trepidante ma consenziente, mentre altri hanno agito indipendentemente dalla famiglia, per una scelta tutta personale.
Non pochi ammettono, non senza una certa reticenza, che, in base al principio di sparare per primi, hanno ammazzato dei fascisti o dei soldati tedeschi; tanti, quasi tutti, sono quelli che hanno visto i loro compagni cadere, combattendo o venendo torturati e fucilati dai nazi-fascisti.
Di particolare interesse per la nostra zona è la testimonianza di Valentino Bortoloso, il partigiano “Teppa” che fu uno degli esecutori dell’eccidio nelle carceri di Schio in cui nel luglio del ’45 furono trucidate 54 persone inermi, non tutte coinvolte nel regime fascista. Teppa oggi definisce il suo gesto “inutile e doloroso” ma che in quel tragico momento era dettato da una diffusa rabbia popolare che ha avuto in lui e compagni gli esecutori materiali; è una giustificazione che spiega il gesto, ma che non serve certo ad evitare una condanna storica dell’eccidio.
Altro elemento comune a tutti i protagonisti è che, nonostante tutto, nonostante quello che hanno sofferto, nonostante la deludente situazione che ne è seguita, loro a novant’anni suonati sarebbero pronti a rifare tutto.

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