Se c’è una cosa che ci disturba più della pervasiva ossessione pubblicitaria in mezzo a cui, nolenti o volenti, ci troviamo quotidianamente sommersi, questa è che la pubblicità ci sia subdolamente propinata attraverso i mezzi e i canali con cui tentavamo di evitarla; lo consideriamo un tradimento non solo della nostra fiducia ma anche della nostra intelligenza.
Un esempio: il recente romanzo di Fabrizio Roncone “Paura di uccidere”, edito dalla Marsilio di Venezia nel 2023.
Si tratta di una storia poliziesca, con un ex giornalista, Marco Paraldi, licenziato per aver dato un pugno ad un sottosegretario, e ora gestore di una vineria, dove un giorno capita un ex collega tipografo che gli chiede di indagare privatamente sulla scomparsa del figlio Max, che fa l’autista di un deputato di dubbia fama, Pino Pignataro.
Insieme con Chicca, Paraldi inizia un viaggio nel sottobosco politico romano, dove la politica sconfina nella violenza e nell’interesse privato.
Ma non è questo quel che conta, che sembra interessi al lettore; perché quello che l’autore ci propina a dosi massicce è quella che si chiama “pubblicità occulta”, cioè pubblicità subdolamente nascosta sotto il pretesto narrativo, sapientemente condito con qualche espressione osèe.
Ecco allora che il protagonista non prende un caffè, ma veniamo debitamente informati che quello che beve, quasi fosse importante per la trama del racconto, non è un caffè qualunque, ma è fatto “con una cialda della Illy”.
Dei capi di abbigliamento dei personaggi veniamo puntualmente informati delle griffe che possono vantarsi di ostentare, dalle scarpe alle cravatte. Tutte etichette che a noi non intenditori dicono poco o niente del tutto.
Come dire che la vicenda del romanzo diventa solo un insignificante pretesto narrativo per presentarci un vero e proprio campionario delle grandi marche, compreso l’orologio da trenta mila euro, ecc.
Non fa per noi!