Sembra avesse l’hobby di scrivere ricordi personali sotto forma di racconti, che inviava a vari concorsi letterari, spesso premiati o segnalati. Alla sua morte i figli, trovando questi racconti tra le sue carte, hanno pensato bene di pubblicarli, come atto di omaggio verso il padre.
Così sembra sia nata la raccolta di racconti intitolata “Tracce nella memoria” di Adriano Angelo Agnolin.
Si tratta di una ventina di racconti, di vario genere, legati a ricordi personali e alla vita vissuta a Lugo dall’autore, che nella vita era stato impiegato in banca.
Ci sono i ricordi dei genitori, in particolare dei nonni da cui Agnolin sembra aver ricavato buoni esempi e saggezza di vita, pur nelle difficoltà che allora comportava la fatica quotidiana del vivere.
I vari racconti sembrano rispondere a registri diversi, a seconda della vicenda narrata.
Non manca quello comico sulla casa infestata dagli spiriti, anzi dallo spirito di un vecchio proprietario, con tanto di volontario che, incurante della paura, restava sveglio di notte a fare la guardia, relazionando al mattino al parroco quanto aveva sentito.
A questa parte più divertente, corrisponde per contralto una parte tremendamente tragica, con una serie di racconti relativi al periodo della seconda guerra mondiale.
Adriano Angelo Agnolin aveva 12 anni quando la guerra è scoppiata; in un racconto ricorda le ristrettezze imposte dal regime sul piano alimentare, con le tessere annonarie, mentre lui e la sorella accompagnavano la zia in cerca di farina, reperibile solo sull mercato nero.
In qualche modo era entrato nel gruppo dei giovani che anche a Lugo, dopo l’8 settembre si erano ribellati alla guerra fascista e all’occupazione tedesca.
Ma la pagina più tragica della raccolta “Tracce nella memoria” è il racconto intitolato “Diario partigiano” in cui Agnolin, ormai diciasettenne, ricorda come testimone gli avvenimenti accaduti in piazza a Sarcedo il 27 aprile 1945; arrivato sul posto anche lui, al seguito di un gruppo di partigiani, per liberare Sarcedo dai tedeschi, trovò che nello scontro erano stati colpiti tre partigiani, di cui uno, Tanaca (Missaggia), ancora vivo, con il petto squarciato, gridava di dolore invocando sua madre.
L’autore racconta poi di essere stato impegnato come partigiano a Zugliano, dove venivano raccolti i soldati tedeschi presi prigionieri; sembra che, visti tre giovani partigiani del paese uccisi in quei giorni, qualche esaltato abbia pensato ad una rappresaglia sui prigionieri tedeschi, schierandone una decina per essere fucilati. Chiamato a far parte del plotone di esecuzione, il nostro Agnolin, soprattutto sentendo un giovane soldato nemico invocare la “muti”, cioè la madre, e non intendendo uccidere nessuno, si era defilato, mentre a Zugliano il buon senso prevalse e la strage fu evitata.
È di questa umanità, spesso nostalgicamente rivissuta nel ricordo, ma a volte tragicamente coinvolta nella violenza della guerra, che è fatta la sostanza che traspare da questi piacevoli racconti, da lui intesi come rivolti ai nipoti per far capir loro cosa e come le precedenti generazioni hanno vissuto e sofferto.
Lo stile è proprio quello del raccontare del nonno, semplice, lineare e efficace, ma anche incisivo e profondo nel cogliere il senso di una vita accettata e vissuta con gli occhi aperti, senza drammi o eroismi.
In premessa i figli scrivono che l’aspetto affettivo ha fatto loro superare l’eventuale qualità letteraria dei racconti; noi che non abbiamo conosciuto l’autore, oltre agli aspetti nostalgici dei ricordi di vita vissuta, abbiamo ammirato anche un non indifferente spessore letterario e, soprattutto, educativo per i giovani di Internet e del telefonino.