“Una vita la bivio” di Francesco Di Vaio, recentemente edito dalle Grafiche Simonato, è sostanzialmente un racconto autobiografico in cui, partendo dalle origini più popolari della Napoli dell’immediato dopoguerra, il protagonista Enrico narra la sua vita fino all’incontro con Anna e alla loro esperienza di insegnanti, per quattro anni, nel vicentino, per poi tornare definitivamente a Napoli.
In casi come quest’opera è quasi d’obbligo distinguere i potenziali lettori in napoletani e non napoletani.
Per i primi, soprattutto per quelli nati nello stesso torno di tempo dell’autore, gioca a favore in modo determinante l’elemento nostalgia, il ritrovare un ‘piccolo mondo antico’ ormai perduto in cui sembra che le persone, più che a vivere, fossero impegnate a sopravvivere, sviluppando varie forme di micro-economia esistenziale; un mondo in cui, comunque, pur con le difficoltà e le ristrettezze quotidiane, chi vi cresceva si sentiva avvolto da una solidarietà umana, dalla partecipazione alle comuni difficili condizioni di vita che ormai il tempo sembra aver superato e che restano quindi relegate nel ricordo nostalgico. È quella stessa dimensione ‘paesana’ che Franco Di Vaio nel vicentino ritroverà nel “Libra nos a Malo” di Luigi Meneghello, scrittore da cui sarà particolarmente apprezzato.
Per chi invece, come noi, fa parte della categoria dei non napoletani, il libro di Francesco Di Vaio presenta, pur mancando l’elemento nostalgia, un indubbio interesse per più motivi; anzitutto per la ricostruzione dell’ambiente popolare, magari non drammaticamente romanzata alla Eduardo De Filippo o alla Totò, ma comunque con una sua intrinseca poeticità, per quel basilare sentimento di solidarietà nei rapporti umani, pur spesso conflittuali, che normalmente si sviluppa negli ambienti in cui la vita è una sfida quotidiana.
In questo ambiente cresce Enrico, presto orfano di madre, con il padre sempre impegnato nei piccoli commerci di sopravvivenza, accudito dalla sorella Maria, che qui supera la dimensione maternamente affettiva per assurgere a vero e proprio mito di donna-madre, naturalmente legata alla vita e alla sua protezione, con una dedizione che spesso arriva a vere e proprie forme di silente eroismo.
Di particolare, profondo interesse è in quest’opera il rapporto del protagonista con la cultura, non solo quella scolastica che lo porterà alla laurea e all’insegnamento, ma anche quella classica, ancora presente e quindi tuttora coniugabile con l’ambiente; c’è un continuo rimando tra i luoghi di vita del protagonista e il luoghi della cultura, soprattutto classica, dell’area napoletana; in un viaggio di Enrico ed Anna in Grecia la categoria del tempo millenario sembra quasi scomparire di fronte a questo intrinseco rapporto tra la vita vissuta e la cultura classica che nei secoli anche Napoli ha sviluppato.
In questo mix tra modernità e mondo classico va inserito anche un discorso sullo stile narrativo, sempre semplice, chiaro, lineare ma nel contempo profondo ed efficace, quello, per capirsi, che normalmente si definisce “modernamente classico” e che ti procura il piacere di leggere
Resta forse da spiegarsi il titolo “Un vita al bivio”; il bivio è quello di una scelta tra una vita rischiosamente alla deriva e quella in qualche modo determinata dalla cultura classica sia scolastica che della millenaria civiltà partenopea; fortuna per Enrico che in questo bivio, a fargli da guida al momento delle scelte di vita fondamentali, ha incontrato Anna, di cui nella dedica dice che: “mi ha educato all’amore”.