[foto di Giuseppe Santamaria]
Che bello il teatro quando è bello! Soprattutto quando è ben recitato! Questa sensazione l’abbiamo provata dopo aver assistito alla commedia “L’importanza di chiamarsi Ernesto” di Oscar Wilde, andato in scena al Teatro Comunale di Thiene, secondo spettacolo della 45^ Stagione Teatrale.
Dalla letteratura inglese sappiamo che il titolo della commedia gioca sul doppio senso, difficile da rendere in italiano, o meglio sulla identica pronuncia di Ernest, nome di persona, e earnest, aggettivo che in inglese significa ‘serio, affidabile, ecc.’
Lo abbiamo ricordato perché in qualche modo rappresenta lo spirito di fondo del capolavoro di Wilde, dove tutto ha un senso, ma anche un doppio senso da cui scaturisce la comicità di quella che, secondo noi a ragione, è stata definita la commedia “perfetta”.
Non ci peritiamo ad inoltrarci nel narrare la trama, con tutto un intreccio in un’atmosfera che insieme è reale e irreale, piena di sorprese. Crediamo che l’intreccio sia più comprensibile, soprattutto godibile, quando lo si vede svilupparsi sulla scena, tra continue sorprese.
Certo merito del regista, che ci limitiamo a chiamare Geppy, perché il cognome non sapremmo come pronunciarlo, che ha saputo dosare i vari elementi scenici in un equilibrio leggero, tutto da gustare, ma evidentemente frutto di un meticoloso sforzo nell’armonizzare le parti non facile da ottenere.
Così come, da buoni critici, amanti più che esperti del teatro, non cominciamo proprio a trovare eventuali limiti o difetti, limitandoci salomonicamente a dire che se ci sono ‘tutto è perfettibile’, ma ora gustiamoci questo risultato!
Lasciateci piuttosto apprezzare a fondo le due ore di spettacolo in cui Orcar Wilde ci immerge nell’atmosfera del suo tempo e mette in scena fatti, amori e personaggi che, dopotutto, sono il ‘noi di ieri’, perché vi ritroviamo sentimenti e azioni che fanno parte anche della vita moderna.
Un plauso certamente va fatto alla recitazione degli attori; che abbiamo particolarmente apprezzato anche perché noi, data l’età, siamo costretti a misurarla anche sulla loro capacità di farci sentire, cioè semplicemente di capire quel che dicono in scena.
C’è anche da dire che forse, e non è un problema di traduzione, non sempre riusciamo a capire a fondo il senso sottile, a volte comico altre polemico, delle battute che si riferiscono in specifico al tempo di Oscar Wilde.
Comunque, se l’intento dell’Autore era quello di smascherare l’ipocrisia sociale che sta tra l’essere e l’apparire, con esiti spesso comici quando non tragici, crediamo che la società d’oggi, quella dei Truman Show politici o pubblicitari, non abbia niente da invidiare all’ipocrisia imperante nel periodo vittoriano, di cui Oscar Wilde è stato vittima.