Partiamo dalla convinzione di trovarci di fronte ad un capolavoro: si tratta del romanzo di Mara Carollo “Promettimi che non moriremo”, edito dalla Rizzoli lo scorso febbraio.
Anche un capolavoro può essere sottoposto al ‘pelo e contropelo’ del critico letterario, senza per questo in qualche modo sminuirlo.La storia narrata è quella di Caterina, nata e cresciuta in quel mondo particolare che è il sopramonte di Calvene, con le contrade già letterariamente visitate da Firmino Brazzale, il cantore della contrada del Monte di Calvene dove era nato e dove abitava.
Caterina è la bambina che non ha ancor a finito le elementari che a casa deve rendersi utile con i lavori e le mansioni quotidiane, non sempre proprio leggeri; ha un amico speciale Mario, con cui prospettano il loro futuro, ma che lei un giorno vede partire per la città.
Caterina, o Nina, considera il suo un mondo chiuso e completo, dove la vita è semplice, ci vien da dire elementare ma non per questo meno difficile. Per il lettore che ha vissuto o conosciuto quel mondo, è estremamente poetico ritrovarlo nella vita di Nina, anche se lei da quel mondo è sempre intenzionata ad evadere.
Un mondo toccato tragicamente dalla guerra e poi dalla lotta civile, di cui non capisce l’impegno, coi relativi rischi, con cui anche Mario partecipa. Guerra è violenza sono estranee al suo mondo, dove la vita è già dura da sé.
Poi, dopo una esperienza di emigrazione in cui vive la dura vita dell’operaia che rischia di rovinarle le mani, e quella di sarta, a Nina mancano i suoi monti, presso i quali ritorna, continuando la sua vita con il marito e i figli, uno dei quali ha deciso che diventerà un maestro.
Viene il periodo del boom economico, che per la montagna significò spopolamento ed esodo verso le industrie della pianura. Così anche Nina riesce a trascinare la famiglia, con il marito riluttante verso la città dove ha aperto un piccolo negozio.
Come si vede non una vita di grandi esaltazioni o di fatti significativi, una vita quotidiana già dura per essere normale routine, ma una vita strettamente legata all’ambiente naturale, al semplice succedersi delle stagioni, discostarsi dal quale per seguire proprie ambizioni significa sradicarsi e dover imparare a vivere in un mondo diverso.
È appunto questo narrare semplice, chiaro, trovando profondità e significati nella quotidianità che rende il primo romanzo di Mara Carollo quello che noi abbiamo gustato al punto da definirlo un capolavoro; sembra la cronaca di quello che anche noi, certo in altri termini e in altri ambienti, abbiamo comunque vissuto, un passato forse non nostalgico ma certamente poetico.
Per questo ci è venuto in mente che Firmino Brazzale di ritorno da una gita scolastica in Ungheria, ebbe a dire “Bela Budapest, bela… ma vuto metere el Monte di Calvene!”