Come è sua abitudine, Thienet interviene a bocce ferme per commentare il risultato di una prova elettorale, volutamente schivando l’emotività dei giudizi immediati, non sempre ben meditati.
Ancora una volta ad una prova elettorale è stata data una valenza politica che non aveva; i 5 Referendum non erano stati concepiti come un tentativo di dare una spallata al governo Meloni; certo, va da sé, di fronte ad un risultato positivo, intendiamo una vittoria dei sì, il governo non avrebbe potuto restare indifferente, ma non per questo automaticamente dimettersi.
Quattro dei quesiti referendari ponevano problemi che riguardavano il mondo del lavoro; possiamo dire che non erano ben chiari, o meglio i quesiti erano troppo complessi, nella loro formulazione, ponendo questioni che forse bisogna vivere sulla propria pelle per poter sentire e capire, ma lontani da chi non appartiene al mondo del lavoro operaio.
Noi abbiamo votato sì più che altro sulla fiducia verso un sindacato operaio che raccoglie tre milioni di iscritti e che è sempre in prima linea sui problemi della difesa dei lavoratori.
Ai Referendum ha votato il 30% degli elettori; come dire che la sinistra elettorale ha confermato la sua consistenza e la sua forza.
Considerato che non si può certo contare su una sensibilità operaia della destra governativa, che recentemente ha approvato il pacchetto delle ‘leggi speciali’ per limitare il democratico dissenso, la partita referendaria si è giocata come sempre sulla ‘silent majority’, la maggioranza silenziosa non politicizzata.
Non era da questa che, distolta dall’edonismo dei paradisi pubblicitari, ci si poteva aspettare una disponibilità verso i lavoratori dipendenti, che poi in Italia, insieme con i pensionati, sono ormai gli unici che pagano le tasse.
Un dato che ha sorpreso nei risultati dei referendum è quello sulla riduzione dai 10 a 5 anni il tempo necessario per ottenere la cittadinanza italiana. Del 30% che ha votato, il 35% ha detto no alla proposta!
Questo ha esaltato la destra qualunquista, e in particolare Salvini, come se il 65% che invece ha votato sì non fosse una chiara indicazione di voto a favore di un giusto riconoscimento verso chi da noi cerca un suo futuro di vita sociale e famigliare.
E infine ci si conceda una considerazione particolare sul Referendum che riguardava l’abolizione del Jobs Act ancora oggi difeso da Renzi. Il termine inglese, configurando la libertà di licenziamento anche senza giusta causa, non riesce a nascondere quello che in sostanza è il più duro attacco contro il diritto al posto di lavoro a nostra memoria perpetrato in Italia, fra l’altro proposto da uno che era segretario del Partito Democratico.
A suo tempo avevamo potuto solo esprimere dissenso e protesta; con il Referendum abbiamo potuto esercitare in prima persona il sacrosanto diritto di votare contro l’iniquo provvedimento!