Morte di un commesso viaggiatore

TEATRO

(Photo©Giuseppe Santamaria)
Se la cifra ormai evidente di questa 40^ Stagione Teatrale Thienese è il carattere ‘letterario’ degli spettacoli presentati, il dramma di Arthur Miller “Morte di un commesso viaggiatore” sicuramente non poteva mancare.
Premesso che il testo originale, presentato negli Usa nel 1949, dura più di tre ore e che di quest’opera sono state fatte più versioni cinematografiche, oltre che teatrali, dello spettacolo presentato al Comunale di Thiene, con Alessandro Haber come protagonista, dobbiamo ripetere quel che andiamo dicendo praticamente dall’inizio della stagione: buon teatro, teatro certamente letterario ma anche teatro pesante; con in più il fatto che questa volta, secondo noi, il personaggio di Willy Loman interpretato da Haber, risponde più all’attere che all’autore, in quanto non coglie in pieno lo specifico ‘americano’ di Arthur Miller.
Certo la sostanza è quella: Alessandro Haber, da grande interprete, ben rappresenta la disfatta di Willy Loman, commesso viaggiatore, che non è più in grado, dopo trentaquattro anni di lavoro di affrontare lunghi viaggi da una parte all’altra degli Stati Uniti per vendere i suoi prodotti e perdendo i migliori anni della sua vita a rincorrere il successo, il mito del denaro senza mai raggiungerlo. Il suo ‘sogno americano’ è fallito sia in ambito lavorativo che in quello personale e famigliare, fallito dove aveva puntato di più, nei suoi due figli, Happy che si perde dietro alle gonne delle mogli dei suoi probabili datori di lavoro, Biff nonostante non sia più un bambino non è ancora riuscito concludere niente. La bravura e lo stato di grazia recitativo di Haber ben ci porta dentro alla disfatta totale di un sognatore smarrito esausto che ha perso tutta la sua energia la sua verve e il suo sorriso; è convincente anche Alvia Reale nella parte della moglie Linda una donna delicata, dimessa e assillata dalle preoccupazioni quotidiane, ma tutto il gruppo recitativo è stato all’altezza.
Il finale è drammatico, Willy Loman verrà licenziato dal titolare della società in cui ha lavorato per gran parte della sua vita, il crollo sarà totale: l’uomo si suicida per “amore”, permettendo così a Linda di poter riscuotere i 20 mila dollari dell’assicurazione con cui garantirsi una vecchiaia dignitosa.
Tanti e convinti gli applausi, e molto apprezzato il gesto di Alessandro Haber che scende tra il pubblico per applaudire tutti insieme l’amico Flavio Bucci, grande interprete del Ligabue televisivo, recentemente scomparso.
Detto tutto questo, resta da spiegare perché secondo noi Willy Loman di Haber è lontano da quello di Arthur Miller. Il vecchietto che si muove sulla scena a passettini, strascicando i piedi, chiuso nel suo stato di perdente (loser) e indurito verso i figli, rappresenta l’inevitabile declino della vita a cui l’uomo stenta a rassegnarsi; quello di Miller rappresenta il declino dell’America che vede svanire l’American Dream; il sogno americano era una forma di forza vitale con cui l’uomo ‘americano’, per sua natura un ‘winner’, vincitore, sentiva di avere sempre una ‘open way’, una strada aperta verso un futuro migliore da costruirsi con le sue forze.
Il tragico gesto finale per Haber è il gesto d’amore per Linda di uno che si sente sconfitto dalla vita; per Miller è un tragico gesto di coraggio, l’affermazione di un self-made man americano che vuole essere padrone fino in fondo del proprio destino.
Una profonda riserva abbiamo comunque sulla sceneggiatura con cui il dramma di A. Miller è stato presentato a Thiene. Per la sua pesantezza, con i muri assurdamente sbrecciati, sembrava fatta apposta per nascondere gli attori agli spettatori; soprattutto una offesa per l’appartamento da piccolo borghese di cui Willy e Linda avevano appena finito di pagare il mutuo.

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