Piovene Rocchette, 24 aprile 2025
80° Anniversario della Liberazione
Il mio deferente saluto alle Autorità, alle Associazioni qui rappresentate e a tutti i presenti. Ringrazio particolarmente il signor Sindaco che mi ha ritenuto all’altezza di questo importante evento, ciò che sto vivendo come un grande onore.
Questa celebrazione dell’80° anniversario della fine della Lotta di Liberazione, che a quanto so qui a Piovene riprende dopo un periodo di pausa, entra a buon diritto nel novero di quel fervore di iniziative in atto in questi giorni un po’ ovunque; anzi è mia impressione, cui non so ancora dare un preciso significato, che le celebrazioni dell’80° Anniversario della Resistenza siano, per numero ma anche per impegno, di molto più numerose e più sentite rispetto a quelle della ricorrenza, per esempio, dei 70 anni, per non parlare degli anni che non hanno la valenza di anniversario.
Un quadro succinto ma sufficientemente esplicativo sul come si visse a Piovene Rocchette il periodo della Resistenza, lo si può trarre dalla RELAZIONE fatta dall’allora parroco don Domenico Pegoraro nel 1946 su richiesta del Vescovo di Padova. Relazioni richieste a tutti i parroci della Diocesi, e che sono state in seguito raccolte e pubblicate da mons. Pierantonio Gios.
Intanto sorprende che, come si legge nella Relazione, “I profughi qui accompagnati dalle autorità civili, furono complessivamente 59, di cui 16 provenienti da Formia, 18 da Cassino, 12 da Cervaro, 7 da Castelforte e 6 da Villa Latina. Vi furono inoltre 431 sfollati, in gran parte dalla città di Vicenza, altri da Padova e da Verona, 62 da Milano e altri da altre città”. A leggere queste cifre, per me sorprendenti, non si può certo dire che a Piovene allora mancasse il senso di accoglienza verso chi, per sfuggire agli orrori della guerra, aveva bisogno di aiuto e di riparo.
Naturalmente il parroco si lamenta della troppa promiscuità dovuta al continuo passaggio di militari che qui si avvicendarono per tutto il periodo bellico, in particolare a causa della presenza della scuola della milizia repubblicana stradale, che in un paio di occasioni organizzò persino un ballo.
Nella sua Relazione al Vescovo di Padova l’Arciprete di Piovene segnala “Il 23 novembre 1944, verso le 8 pomeridiane, furono uccisi proditoriamente in via Bernardi i due sottotenenti della milizia stradale, Balzi Gianfranco e Paciotti Ivo, ambedue di Forlì. Fu assodato che gli assassini non erano di Piovene Rocchette e perciò non vi furono rappresaglie in paese”.
Più grave il fatto verificatosi il 9 settembre ’44 così riferito sempre da don Pegoraro: “…furono rinvenuti, a circa cento metri dalla provinciale Rocchette-Arsiero… le sal-me di 5 giovani operai. Si sa che furono uccisi dai tedeschi o dai russi per ordine dei tedeschi, dopo un rastrellamento sulle colline che sovrastano Valdagno”
Ancora, secondo la Relazione, a Piovene Rocchette “Gli odi furono vivi contro i tedeschi e poi contro i fascisti repubblicani, ma non si manifestarono all’esterno con azioni violente. Le detestazioni del regime furono soltanto verbali. Rapine ne furono commesse dai tedeschi nei giorni 28 e 29 aprile 1945, cioè durante la loro ritirata”.
Entrando più a fondo nel merito della Resistenza si potrebbe dire anche per Piovene Rocchette che, se lo spirito che l’ha informata è stato unico, cioè un sentimento fortemente sentito di rifiuto della guerra ed un bisogno di libertà dal fascismo e dall’oppressione straniera, le forme con cui si è poi concretamente manifestata variano a seconda delle peculiari condizioni del luogo in cui si è concretamente espressa.
C’è quindi da vedere se ci sia, ed eventualmente quale sia, lo specifico della Resistenza così come si è manifestata ed è stata vissuta qui a Piovene. Su un piano storico si potrebbe cominciare col dire che il territorio di Piovene Rocchette apparteneva a due formazioni partigiane diverse: alla Brigata “Martiri della Val Leogra” che faceva capo a Schio per la parte di pianura, o meglio forse per la parte più industrializzata, e alla Brigata “Pasubiana” per la parte collinare e di montagna. Entrambe comunque appartenevano a quella che si chiama “zona Garemi”, di cui era comandante Alberto, Nello Boscagli.
La distinzione va intesa in modo relativo, senza rigidità, anche perché, fatto salvo che per tutti era attiva la pratica della guerriglia, le differenze erano sul modo di condurre la lotta.
Schio, con tutto il suo sistema industriale, che arrivava fino a Piovene, è entrato nella storia della Resistenza nazionale non solo per l’attiva guerriglia partigiana, in città come nel sopramonte, ma anche per la lunga serie di scioperi e di sabotaggi che gli operai attuarono a partire dal ‘43 fino al ’45 nelle fabbriche locali. In questo modo Schio, e quindi anche Piovene, insieme con Bassano, si collegava con i grandi centri industriali del Nord Italia in cui la Resistenza con sabotaggi e scioperi fu molto intensa.
Per capire l’importanza di questo aspetto della lotta resistenziale bisogna pensare che i tedeschi avevano requisito e occupato praticamente tutte le fabbriche, convertendo la produzione industriale in modo da farla rispondere ai bisogni del poderoso sforzo bellico da loro messo in atto. Come dire che si lavorava per la guerra.
Ora è evidente che se la fabbrica serviva alla guerra, boicottare od ostacolare la produzione diventava un atto di guerra, di ostilità contro il nemico, col rischio di incorre nelle pene severissime previste dai tedeschi per chi le promuoveva o attuava.
Diversi sono gli episodi della lotta resistenziale a Piovene che andrebbero riferiti, a cominciare dall’uccisione del maggiore della Guardia Nazionale Repubblicana, Adelchi Pierella, che a sua volta si era reso colpevole dell’uccisione a Velo d’Astico di don Franchetti; per rappresaglia i nazifascisti fucilarono due civili innocenti. Così come non si può dimenticare che la zona del Summano servì come base per almeno due lanci alleati.
Ma io ritengo che la caratteristica che più distingue Piovene Rocchette nella guerra e nella Lotta Partigiana sia quella di essere un importante punto di transito nel sistema di comunicazione viario e ferroviario della zona, uno snodo cruciale che sta tra l’imbocco della Valdastico e la strada verso l’Altopiano di Asiago; noi oggi difficilmente ci rendiamo conto dell’importanza che aveva allora la rete ferroviaria di questa zona dell’alto vicentino, con la stazione di Rocchette al bivio tra il proseguimento da Schio o Thiene verso Arsiero oppure, con l’aiuto di una cremagliera, verso l’Altopiano di Asiago.
Se la circolazione su quelle tratte ferroviarie fu sempre più travagliata fino ad essere praticamente interrotta in seguito ai bombardamenti alleati, la strada che passando per Piovene Rocchette porta verso la Valdastico, sul finire della guerra assunse per i tedeschi un’importanza vitale, essendo ormai state chiuse o rese impraticabili dalle forze partigiane sia la Valsugana che la strada verso il Pasubio; forse è proprio il bisogno di tenersi libera questa via di ritirata che, insieme ad altri elementi, spiega la ferocia dell’eccidio di Pedescala.
Per tentare di meglio definire quello che ho chiamato lo “spirito resistenziale” vorrei proporre qui brevemente una figura che allo scopo mi sembra esemplare: sto parlando di Francesco Ferrari.
Nato a Chiuppano nel 1922, si trasferì a Piovene con la famiglia che qui gestiva una camiceria. Frequentò il Liceo “Pigafetta” di Vicenza e fu ammesso, su concorso na-zionale, alla Scuola Normale di Pisa dove si laureò nel ’42 nella Facoltà di Lettere. Nel 1938 aveva aderito all’Azione Cattolica di cui, ricoprì la carica di Delegato Diocesano per le attività cattoliche.
A partire dal 1941 si avvicinò all’antifascismo di matrice azionista. Rientrato a Piovene Rocchette, partecipò quindi alla Resistenza. Ai primi di giugno 1944 al Collegio Vescovile di Thiene, fu tra i 14 fondatori assieme al comandante Giacomo Chilesotti, della “Brigata Mazzini”, di cui fu verbalizzatore. Negli anni cinquanta iniziò la sua attività politica nella Federazione di Vicenza del P.C.I., partito nelle cui file venne eletto Consigliere Comunale nel 1956. Nel 1958, candidato alla Camera, venne eletto Deputato al Parlamento per la III legislatura. Fu successivamente rieletto sia nel Consiglio Comunale di Vicenza, dove rivestì la carica di Capogruppo, che alla Camera per la IV legislatura (1963), rimanendo in carica fino al 1964, quando morì per un attacco cardiaco.
Ho portato questo esempio di uno che fu a lungo cittadino di Piovene per dimostrare come in lui lo spirito resistenziale, formatosi su una matrice cattolica, su una cultura accademica e sull’impegno della lotta partigiana, si sia poi con coerenza trasmesso nell’attività politica e nell’impegno sociale all’interno delle istituzioni democratiche.
Uno spirito resistenziale che, a ben guardare, viene da lontano; tra gli altri viene da Giacomo Matteotti che nel 1924 ebbe il coraggio di denunciare apertamente i brogli elettorali che avevano portato i fascisti al potere e che in Parlamento dovette gridare il suo bisogno di giustizia e di libertà tra gli schiamazzi e le irrisioni dei parlamentari ormai totalmente asserviti al fascismo mussoliniano. Uno spirito resistenziale che viene dal Manifesto di Ventotene in cui, di fronte alla guerra dei nazionalismi, si propone il sogno di un’Europa unita in una federazione; un’Europa in cui io, pur con gli opportuni aggiustamenti, da italiano, mi riconosco in pieno, proprio come, da veneto, sono orgoglioso di essere cittadino italiano.
Uno spirito resistenziale che, deposte le armi di una lotta fratricida, si è concretizzato nella Costituzione della nostra Repubblica, che ha trasformato in istituzioni operative quel bisogno di libertà e di democrazia per cui si era dovuto imbracciare le armi contro la dittatura e l’occupazione straniera.
Allora celebrare il 25 aprile non è solo ricordare con commozione quanto è storicamente costata la nostra Costituzione, significa piuttosto cercare di rinfocolare e rinvigorire in noi tutti quello spirito resistenziale di cui ho parlato, ponendoci, fortunatamente senza più bisogno delle armi, ma con la forza delle libertà democratiche, a difesa delle istituzioni che per quasi 80 anni hanno garantito la nostra pace nella libertà. Questo richiede la presenza di cittadini democratici che, come tentavo di contribuire a formare da uomo di scuola, siano “capaci di scelte responsabilmente critiche”, senza rincorrere passivamente il pifferaio di turno che ti offre il suo pensiero e le sue opinioni in pacchetti già preconfezionati.
Mentre ringrazio nuovamente i presenti e gli organizzatori, vorrei ribadire con forza che la Resistenza allora non è più solo quella che hanno fatto gli altri, quella che ci corre l’obbligo di ricordare e onorare il 25 aprile, ma quella che siamo chiamati a fare noi, oggi, continuando ad alimentare e rinvigorire con lo stesso spirito resistenziale la strenua difesa della nostra Costituzione.
Per questo anch’io concludo
“ORA E SEMPRE RESISTENZA!”
Ferdinando Offelli