Con la lettura di “Eia, eia, alala!” di Giampaolo Pansa, edito da Rizzoli nel 2014, abbiamo riaperto un discorso che era stato interrotto più o meno ai tempi della pubblicazione de “Il sangue dei vinti”.
Giampaolo Pansa era allora uno degli autori di cui leggevamo sistematicamente le opere man mano che uscivano; gli altri erano Giorgio Bocca, Mario Rigoni Stern e immancabile Luigi Meneghello.
Poi il discorso si è interrotto per il passaggio di campo di Pansa che ha cominciato a vedere la storia dall’ottica del fascismo, contribuendo anche lui ad una rilettura che prescinde dai crimini commessi da Mussolini contro il popolo italiano nel disastroso ventennio del suo regime.
È stato quindi con estrema titubanza che, superate le polemiche, lo abbiamo ripreso in mano in uno dei romanzi della seconda fase della sua carriera letteraria.
Che Giampaolo Pansa sia stato uno scrittore piacevole da leggere, per la sua incisiva chiarezza, ne abbiamo avuto un’ulteriore conferma, arrivando con tranquillità fino alla fine del romanzo.
Che è poi la vicenda di uno degli agrari che all’inizio degli anni Venti in Italia hanno foraggiato e sostenuto la violenza fascista in funzione anti-operaia e anti-socialista.
Si tratta di Edoardo Magni che gestisce una azienda agricola tra il Monferrato e la Lomellina.
Senza mai partecipare direttamente, Edoardo, anche appoggiandosi a varie figure femminili, non è mai coinvolto nelle attività del fascismo, che segue col distacco del munifico sostenitore, pensando di aver già fatto il suo dovere come ufficiale nella Grande Guerra.
In particolare il Magni sostiene un dissidente fascista, Cesare Forni, che ha cominciato a denunciare la corruzione che permeava anche il regime che doveva abolirla, tanto che alla lunga Mussolini ha dovuto disfarsene, eliminandolo.
C’è quindi un progressivo raffreddamento degli entusiasmi iniziali del regime mussoliniano, quasi un processo di maturazione politica che si concluderà con la aperta disubbidienza alle leggi razziali del ’38 e la successiva guerra, durante la quale Edoardo ospiterà clandestinamente due donne ebree.
C’è un finale che in verità non sappiamo come interpretare. Marianna, l’amante ebrea, salvata e protetta da Edoardo, alla fine della guerra, vedendo che nel suo amante non si è maturato sufficientemente il senso dell’orrore che lei ha dovuto vivere in prima persona, lo abbandona scegliendo di trasferirsi a vivere in Israele dove sembra esserci più consapevolezza per l’olocausto. Non siamo sicuri che questa nostra lettura corrisponda alle intenzioni di chi l’ha scritta.