Una violenza “incolpevole”

SCAFFALE

Forse per capire meglio quest’opera conviene partire dal sottotitolo: “Retoriche e pratiche dei cattolici nella Resistenza”. Stiamo parlando di “Una violenza ‘incolpevole’” di Alessandro Santagata, edito dalla Viella di Roma nel 2021.
Nel suo complesso l’opera approfondisce l’atteggiamento psicologico del cattolico che, divenuto partigiano, si trova davanti alla scelta di coscienza del ‘non uccidere’, ciò che gli è dettato dalla fede ma spesso richiesto dalla situazione.
È proprio nel mettere a confronto le considerazioni retoriche del “ribelle per amore” che combatte un “guerra giusta”, con le necessità pratiche del combattimento, per sopravvivere prima ancora che per uccidere, che le considerazioni di Santagata ci sono sembrate un colto esercizio accademico, fatto da accademici per discorsi accademici.
Distinguere il partigiano cattolico, che sceglie il sabotaggio e rifugge dall’uccidere, mentre il partigiano garibaldino agirebbe al contrario, significa di fatto fare una vuota retorica sulla lotta resistenziale, significa collocare la Resistenza ad un livello diverso da quello della realtà pratica del tempo.
Cominciamo dal fatto che Winston Churchill aveva dato ai commando inglesi l’ordine “set Europe ablaze!” (traducibile con ‘mettete l’Europa a ferro e fuoco’) mentre i commando alleati paracadutati nelle zone occupate dai nazifascisti avevano l’ordine, trasmesso ai partigiani, di “distruggere e uccidere più tedeschi possibile”.
Come diceva il partigiano Giove quella combattuta dai partigiani era una guerra, non un tè salottiero; e in guerra si combatte, si uccide per non essere uccisi.
Forse una distinzione tra partigiano che uccide e uno che si limita al sabotaggio, sempre che si possa fare, va fatta tra i comandi che decidono le azioni, non tra i combattenti.
Quali che fossero le loro aspirazioni per il dopo, per il momento i partigiani volevano intanto portare a casa la pelle e quindi combattere per liberarsi dall’invasore e dal residuo fascista; volevano smettere con la guerra per avere la pace.
Santagata si sofferma molto sulla zona della brigata partigiana ‘autonoma’ Mazzini, oltre che sulla brigata dichiaratamente cattolica la “Guido Negri” di don Antonio Pegoraro per dire che privilegiavano la tattica del sabotaggio; eppure noi siamo convinti che quando, come nel rastrellamento di Granezza del settembre ’44, c’è stato da sparare, i partigiani della Mazzini, cattolici, autonomi o comunisti che fossero, hanno sparato per uccidere gli aggressori; Loris è stato colpito mentre sparava al nemico con una mitragliatrice.
Opere come quelle di Santagata, che sprofondano in abissi psicologici, ponendo problemi che possono sussistere finché si ragiona a freddo e non certo nel divampare della battaglia, possono essere utili alla carriera accademica che costringe a veleggiare in alto, ma sono distanti dal ragazzo che, cattolico o non, dopo la guerra si è trovato a fare la Resistenza.

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